Cadute, avanzate e ritorni nella giungla di una campagna a premi

15.01.2018

Sono passate quasi due settimane da quando il Presidente Mattarella ha firmato il decreto di scioglimento del Parlamento, e tutti gli schieramenti politici sono già scesi in campo brandendo le più fantastiche e idilliache promesse in caso di vittoria, dando il via a una sensazionale campagna elettorale. Dall'abolizione delle tasse universitarie proposta dalla sinistra di Liberi e Uguali, alla promessa di Matteo Salvini abolire la Legge Fornero con cui è stato riformato il sistema pensionistico, al mix reddito di cittadinanza-investimenti statali ad alto deficit sbandierati dal Movimento cinque stelle, insieme all'abolizione di qualche centinaio di leggi non ben identificate o già annullate.

Ma mentre agli estremi della compagine partitica sbocciano progetti inutili, costosi, se non impensabili per la situazione economica italiana, nei campi più mediani assistiamo a una situazione singolare. Da un lato i sondaggi sembrano segnare la caduta del Partito Democratico, di cui Renzi, da segretario, sembra voler sancire la debacle definitiva non lasciando spazio al Presidente del Consiglio Gentiloni che gode di consensi molto più ampi rispetto al partito. Dall'altro assistiamo al ritorno in grande spolvero di Silvio Berlusconi il quale si pone come garanzia contro i Salvini/Grillo/Di Maio, smentendo le uscite di scena sul suo conto e guadagnando endorsement da Bill Emmott di The Economist a Scalfari. Berlusconi sa di essere il mazziere delle carte sia nel centrodestra, sia nello scenario post 4 marzo, in un'ottica simile all'accordo tedesco tra la Cdu-Csu di Merkel e il Spd di Schultz, alias larghe intese. È così che raccogliendo l'invito e l'auspicio di tutti i Popolari Europei a salvare l'Italia dall'avvento di chi avrebbe come modello di governo l'albero di Natale romano di piazza Venezia, Silvio si gioca rispettabilissimi moderati come possibili premier per ricordare che è Forza Italia a dettare le regole. Decide quindi di smentire Salvini sull'abolizione della legge Fornero e corregge il tiro sul Jobs Act annunciando modifiche e sostenendo quindi l'operato di Renzi in favore degli industriali. Come scrive Mario Sechi dalle colonne di List, "siamo di fronte a uno che conosce il mestiere di fronte a una compagnia di dilettanti che perde consensi e li fa guadagnare all'avversario".

Per il momento da nessuno dei maggiori schieramenti pervengono proposte concrete a sostegno dei giovani e progetti di riduzione del debito pubblico che, col nuovo record toccato nel 2017 di oltre il 133% del Pil, grava sulle generazioni degli attuali venti/trentenni e toglie decine di miliardi all'anno dall'economia reale a causa degli interessi. Ma non basta, non si parla né di liberalizzazioni né di tagli dell'IRES (imposta sul reddito di società) che grava sulle imprese, né tantomeno di apertura dei mercati o di riforma strutturale del fisco (unico progetto la flat tax). Altri comici poi fornirebbero a chiunque uno stipendio per non lavorare, portando l'Italia al pauperismo totale, insieme al vincolo di mandato. Aprendo una parentesi, a questi potrebbe tornare utile ricordare cosa recita l'articolo 67 della Costituzione o quanto disse il 3 novembre del lontano 1774 Edmund Burke ai propri elettori: sono sacrosanti i contatti che le sfere della società civile hanno con gli eletti per poter fare presenti le diverse istanze, ma "il Parlamento non è un congresso di ambasciatori di interessi diversi, [...] è un'assemblea deliberativa di un'unica Nazione, dove dovrebbero essere guida non i pregiudizi locali, ma il bene generale derivante dalla generale ragione dell'intero", per cui è impensabile che una società privata stabilisca cosa i parlamentari sono tenuti a dire, pensare o fare, senza facoltà di agire secondo coscienza.

Se però distogliamo lo sguardo da tutte queste promesse, consapevoli che la partita inizierà solo dopo il giorno delle elezioni, osserviamo che l'Italia si sta giocando delle carte interessanti su vari fronti sia politici sia economici. Basti pensare all'avviamento dei lavori per un accordo bilaterale tra Francia e Italia di cooperazione su commercio, difesa ed Europa (alter ego di quello siglato tra Francia e Germania).

Ebbene, in quest'ottica più ampia, messi di fronte al voto, non ha forse senso scegliere chi, a partire dal 5 marzo, potrà formare un governo che dia al nostro Paese un ruolo concreto, con toni non sguaiati e senza millantare complotti? Non ha forse senso scegliere chi agirà sui problemi economici lasciando stare corporativismo, nazionalizzazioni o metodi da Unione Sovietica per portare l'Italia a crescere concretamente? Se la risposta sarà sì, allora forse l'unico modo per non far emergere orde di rivoltosi populisti e sovranisti è non inseguirli affatto.

Matteo Sgubbi

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