Il Corporativismo

16.11.2017

L'ordine corporativo nella Repubblica sociale italiana- IL RITORNO AL SANSEPOLCRISMO: Tre giorni dopo l'armistizio di Cassibile con gli alleati, avvenuto l'8 settembre 1943, Benito Mussolini, che era in stato di reclusione presso Campo Imperatore sul Gran Sasso, venne liberato da un'operazione di intelligence tedesca, guidata dal maggiore Otto Skorzeny, e condotto a Monaco di Baviera in Germania. Qui ebbe una serie di colloqui con Hitler per discutere della situazione del nord Italia (ovvero la parte d'Italia che dopo l'armistizio fu occupata dai tedeschi) dei quali però non è giunto alcun verbale. Depresso e incerto, Mussolini venne convinto da Hitler, che sembra aver minacciato di ridurre l'Italia peggio della Polonia, a costruire un nuovo stato Fascista sotto le direttive del Reich nel nord Italia.

Il 15 settembre tre giorni dopo la sua liberazione l'ex Duce torna alla ribalta tramite un discorso a radio Monaco. Egli assunse di nuovo la direzione del fascismo nell'Italia del centro-nord occupata dai tedeschi. Il nuovo corso del fascismo fu sancito dalla nascita di un nuovo partito chiamato Partito Fascista Repubblicano di cui come segretario venne nominato Alessandro Pavolini, uomo di fedele osservanza fascista.

Vennero poi ripristinati tutti gli apparati militari, economici e amministrativi comprese le scuole e la milizia.

Il giorno dopo, sempre con un discorso alla radio, Mussolini diede l'ordine per la riorganizzazione delle forze armate sciogliendo il giuramento in precedenza prestato al re da parte degli ufficiali.

Il 23 settembre alla Rocca delle Caminate, presso Predappio(Forlì), costituì un nuovo governo.

Il 17 novembre, durante il primo congresso del nuovo Partito Fascista Repubblicano svoltosi a Verona, vengono approvati i 18 punti del Manifesto di Verona, un piano programmatico per il governo della nuova repubblica che definiva gli obiettivi politici del partito. Al nuovo stato venne dato il nome di "Repubblica Sociale" che poi con il quarto consiglio dei ministri diventerà ufficialmente "Repubblica Sociale Italiana".

La costituzione di questo nuovo stato, sebbene fosse completamente controllato dai tedeschi, (lo stesso Mussolini e i suoi più vicini collaboratori ne scriveranno qualcosa a riguardo) fu una vera e propria opportunità per i fascisti fedelissimi, che poterono ritornare alle vecchie idee economiche-sociali di stampo social-repubblicano espresse principalmente nel programma di San Sepolcro dei Fasci del 1919 e nella Carta del Lavoro del 1927. Queste idee infatti, durante il ventennio, erano state pressoché messe da parte, in quanto il regime restava nella morsa dei poteri forti, cosiddetti plutocratici (monarchia, grandi industriali e Curia) che si opposero a qualsiasi più radicale riforma di tipo sociale.

Il Partito fascista repubblicano si formò concretamente al Congresso di Verona dove riuniti i maggiori gerarchi fascisti anti-monarchici approvarono il cosiddetto Manifesto di Verona che, come è stato detto prima, è un insieme di punti programmatici volti a costruire la nuova Repubblica Sociale.

Questo manifesto di Verona è suddiviso in due parti: una comprendente la materia costituzionale e la seconda comprendente la materia sociale. I primi otto punti del manifesto che comprendono la materia costituzionale accennano circa la futura forma di governo della Repubblica ( una repubblica presidenziale) e come verrà convocata la costituente per scrivere la futura carta costituzionale (in realtà una bozza della costituzione fu scritta dal Ministro dell'educazione nazionale Carlo Alberto Biggini, dove si nota tutta la fiducia che egli riponeva nella "rivoluzione" economica del progetto corporativo e sociale, su modello di una democrazia organica). Inoltre contengono direttive su come in futuro il governo si dovrà muovere in campo internazionale. Tra tutti gli articoli di politica estera spicca l'Art 8 in cui oltre a giustificare la solita politica espansiva, si delinea l'idea, mai vista prima, di creare una comunità europea, una "Confederazione di popoli autoctoni".

La seconda parte del manifesto che va dal punto 9 al 18 compone invece la "materia sociale" dove viene accennato il nuovo modello economico, sociale e amministrativo della Repubblica, ovvero il sistema corporativo e la socializzazione, che è poi quella che dà l'intero nome al nuovo stato fascista.

CORPORATIVISMO

Durante il periodo della RSI, che a differenza del Ventennio ci fu la fuga della componente capitalistico-plutocratica si ebbero, come abbiamo detto prima, dei nuovi tentativi per rivoluzionare interamente il sistema economico italiano. Se prima in un contesto capitalistico conservatore, la collaborazione tra le classi appare utopistica e demagogica, diversa è la situazione all'intero di un sistema dove le aziende più grandi sono socializzate (spiegato in basso). Questa idea del tutto rivoluzionaria è il Corporativismo che fu il pilastro portate dell'ideologia fascista fin dal 1919.

Il Corporativismo è un tipo di organizzazione sociopolitica di una società sulla base dei gruppi di maggiori interessi, o "corpi sociali", cioè le associazioni intermedie tra cittadino e autorità politica che formano la società civile, come gruppi su base agricola, affaristica, del lavoro, militare, scientifica, sulla base degli interessi comuni. Dal punto di vista teorico il corporativismo è basato sull'interpretazione di una comunità come un copro organico. Il termine "corporativismo" deriva in senso proprio dalle corporazioni delle arti e dei mestieri che regolavano la vita economica dei cittadini nei liberi comuni dell'Italia medievale. Nel 1891 nell'enciclica Rerum Novarum il corporativismo venne richiamato in un'ottica cattolica.

Lo stato corporativo risponde alla necessità di superare i limiti dello stato liberale e dello stato socialista, cercando una terza via in un ottica di collaborazione di classe (e quindi la conseguente risoluzione dei conflitti tra classi).

Dal punto di vista concreto, nello stato corporativo, la società è suddivisa in categorie, che sono gruppi di lavoratori, impiegati e datori di lavoro appartenenti ad una ben precisa categoria di produzione o di lavoro. Queste categorie, chiamate corporazioni, hanno il compito di risolvere, attraverso statuti e leggi, i vari conflitti tra le classi favorendone quindi la collaborazione. Il fine ultimo di ogni singola corporazione sarà quindi quello di convogliare tutti i vari interessi individuali in un interesse più alto, che sommato a quello delle altre corporazioni costituisce un interesse supremo che coincide con quello statale. Nello stato corporativo, la rappresentanza del sistema liberale, partitica e atomistica è completamente sostituita dal sistema di rappresentanza basato sulle categorie produttive. Ogni corporazione di conseguenza eleggerà dei rappresentati, provenienti da ogni tipo di classe sociale, i quali all'interno della camera delle corporazioni (ipotetico parlamento) svolgeranno un'attività legislativa. L'attività legislativa di questa camera sarà condivisa con un altro organo statale di governanti super partes, ovvero dei governanti appartenenti ad una corporazione del tutto avulsa con la produzione. Questa corporazione super partes dovrà svolgere diversi compiti:

a)Promuovere la collaborazione tra le varie corporazioni

b)Svolgere l'attività esecutiva insieme alle corporazioni

c)L'esclusiva possibilità di legiferare sulle questioni di materia etica e culturale.

Durante la RSI la corporazione super partes avrebbe dovuto coincidere con il PFR.

Il sistema corporativo, come è espresso nella definizione, è un tentativo di organizzazione politico-amministrativa organicistica (democrazia organica). Ovvero interpreta la società come un vero e proprio copro organico, composto da vari individui, che inglobati organicamente, perseguono il proprio interesse individuale, facendolo poi convogliare con uno più generale, attraverso una sana e armonica cooperazione. L'uomo nuovo che si verrà a creare nello stato corporativo, non sarà quindi più l'uomo economico del sistema demo-plutocratico, ma sarà l'uomo integrale (produttore, politico, economico, spirituale e guerriero).

socializzazione

La socializzazione dell'economia è una dottrina che indica la teoria economica che si è cercato di attuare durante la Repubblica Sociale Italiana, nella quale la proprietà dei mezzi di produzione non è esclusiva del capitalista, ma è partecipata dai lavoratori impiegati nell'azienda. La base della socializzazione è la totale assenza di lavoro dipendente, ovvero ogni entità produttiva appartiene in egual misura a tutti i suoi lavoratori, senza più padroni né dipendenti. Ciò a differenza del capitalismo, dove un'entità produttiva è di una persona o di una società di persone, e la produzione è affidata a lavoratori dipendenti. Inoltre si differenzia da modello comunista, dove si ritiene che la proprietà privata dei mezzi di produzione debba essere abolita e collettivizzata in un sistema che l'assegna allo stato. Tuttavia, similmente al capitalismo, la socializzazione prevede il diritto alla proprietà privata e alla libertà di iniziativa economica, il rispetto della legge della domanda e dell'offerta e della libera concorrenza, il tutto immerso in un sistema corporativo. la socializzazione però non avrebbe interessato le aziende con un numero esiguo di dipendenti, poiché, era di interesse pubblico garantire la piena proprietà dell'azienda ai piccoli e medi industriali/artigiani. Secondo il Manifesto di Verona, infatti, la proprietà privata, sarebbe stata garantita e supportata, in quanto considerata frutto del lavoro individuale, come completamento e mezzo di esplicazione della personalità umana, riconoscendone la sua funzione sociale e nazionale, quale mezzo per sviluppare e moltiplicare ricchezza. Tuttavia non si sarebbe dovuta trasformare in un'entità disgregatrice della personalità altrui sfruttandone il lavoro. Non a caso nell'articolo di Edoardo Pantano "La Socializzazione e la Guerra" pubblicato nel giornale "L'idea sociale" il 26 marzo 1945, viene affermato che il giorno 21 aprile 1945 saranno promulgati i decreti di socializzazione di tutte le aziende aventi almeno 100 dipendenti e un capitali di un milione (a causa del mal andamento della guerra e della ferrea opposizione dei tedeschi questo decreto non verrà mai promulgato).

Durante i primi anni venti, quando il fascismo era appena salito al potere, e di conseguenza ancora carico di idee per rivoluzionare veramente il sistema economico italiano, sorsero diverse discussioni sul tema del corporativismo. Alfredo Rocco e Giuseppe Bottai furono i due massimi interpreti politici ed istituzionali a riguardo, ovvero gli esponenti incaricati dal regime di elaborare una vera e propria dottrina per il PNF. Nacquero così diverse linee di pensiero. La dottrina di Rocco si caratterizzava per l'assoluto primato assegnato allo stato, era infatti lo stato e non il popolo l'ente a cui sarebbe dovuta appartenere la sovranità. La sua concezione muoveva dal rifiuto radicale tanto del liberalismo quanto del socialismo, considerati manifestazioni speculari dell'individualismo. Su questi presupposti Rocco voleva fondare un'idea di stato che fosse: "organica, dinamica e storica". Secondo questa idea (culto dello stato), lo stato avrebbe dovuto inglobare tutti quegli organi giuridici, amministrativi e politici (quindi gli stessi individui) come i sindacati, che da strumenti di lotta per interessi particolaristici, sarebbero dovuti diventare, organi di collaborazione per il perseguimento del benessere generale. Solo grazie alle corporazioni, composte dalla fusione dei sindacati di lavoratori e di industriali, diveniva possibile perfezionare al meglio il processo produttivo, ed evitare le "inutili concorrenze interne", per affrontare nelle condizioni di massima efficienza economica le lotte della concorrenza mondiale. Già da qui emerge quindi, che l'idea di Rocco non era un'alternativa al capitalismo ma lo era al liberalismo. Il corporativismo, infatti per lui, si basava sulla vigilanza e sul controllo dei ceti produttivi, in base al principio secondo il quale le categorie produttive non governano se stesse, ma governano la produzione, che ovviamente è un loro interesse, ma è soprattutto un interesse collettivo. Le corporazioni dovevano dunque essere lo strumento con cui integrare le masse nello stato in condizione di passività e totale subordinazione. Il corporativismo ideato da Rocco ben lontano da quello che elaborò il congresso di Verona nel'43, e dall'idea di democrazia organica, viene definito come corporativismo autoritario.

Per Giuseppe Bottai al contrario il corporativismo, rappresentava l'elemento principale di un fascismo partecipe a base popolare. Nella sua concezione del fascismo vi era quella di reinventare un nuovo tipo di democrazia, una democrazia "totalitaria". Con Rocco condivideva la fede nel regime a partito unico in quanto il multipartitismo avrebbe portato delle fratture nella società andando inoltre contro l'idea stessa di corporativismo, diversamente però pensava che all'interno del partito unico occorreva il confronto in quanto l'ideologia era la stessa ma le proposte erano diverse. Il corporativismo assumeva quindi la funzione di strumento di governo per regolamentare la dialettica sociale di confronto tra gli interessi sociali e statali. Le corporazioni secondo Bottai divenivano quindi uno strumento di politicizzazione delle categorie economiche, e avrebbero dovuto fondere il loro carattere "particolare" con la generalità dell'interesse nazionale. I punti salienti dell'idea di Bottai sono quindi:

a)Considerare un interesse pubblico gli interessi delle categorie.

b)Portare la vita sociale nel pieno della vita politica

c)Dare una partecipazione attiva delle masse alla vita e ai destini dello stato e non l'inglobamento passivo. Bottai vede quindi nel corporativismo la fine del sistema capitalistico e la completa realizzazione della democrazia organica, fondata sulla collaborazione e sulla programmazione dell'economia di uno stato non comunista. Per questo motivo la sua teoria distante da quella di Rocco non viene più definita autoritaria, ma piuttosto totalitaria.

Anche dal mondo sindacale si ebbero alcune idee di corporativismo, ma in maniera meno dettagliata, da cui però gli stessi Bottai e Rocco si spirarono per comporre le loro teorie. Alcuni punti di rilievo riguardo il corporativismo provenienti dal mondo sindacale furono:

a)La necessità di salvaguardare il sindacato e di come verrà integrato nel nuovo ordine

b)Controlli e tutela sulla proprietà privata.

Un altro ideatore del corporativismo a cavallo tra gli anni 20 e 30 fu Ugo Spirito. La sua analisi per la costruzione del nuovo ordine parte dalla tesi dell'identità di individuo e stato e di come i suoi due principali interpreti, il liberalismo e il marxismo avevano misurato il loro fallimento. Spirito dava all'iniziativa privata un alto ruolo sociale, in quanto la considerava, come lo strumento più efficace e più utile per produrre ricchezza nell'interesse della nazione, e quindi rendere l'imprenditore responsabile dell'indirizzo della produzione di fronte allo stato. Assegnando quindi finalità e caratteri pubblici alla proprietà privata, innalzava il proprietario a organo costitutivo dello stato che si esprimeva all'interno della corporazione(vista da Spirito come organo in grado di comporre la volontà dei singoli nella volontà del tutto). L'ideatore si spinse poi ancora più avanti, per dare ancora più concretezza all'unità e all'organicità di individuo e stato, ideando la cosiddetta "corporazione proprietaria". La "corporazione proprietaria" consiste nel trasformare la grande azienda in una corporazione, e quindi in un organo dello stato ma con amministrazione indipendente. Il capitale sarebbe dovuto passare dalla mano degli azionisti a quella dei lavoratori della azienda medesima, che avrebbero dovuto diventare così proprietari della azienda in base al ruolo svolto all'interno di essa stessa. Con la tesi della "corporazione proprietaria" Spirito portò alle estreme conseguenze il tema della terza via e dell'universalità del fascismo. Questa idea di "corporazione proprietaria" ispirò poi l'idea della socializzazione delle grandi aziende nel periodo della RSI.

Da un punto di vista strettamente filosofico lo stato corporativo rappresentò per alcuni filosofi del tempo, tra cui lo stesso Ugo Spirito, la destra idealista di stampo hegeliano. Lo stato corporativo avrebbe dovuto applicare infatti, i precetti mussoliniani secondo cui "l'individuo non esiste se non in quanto è nello stato e subordinato alle necessità dello stato" e " il corporativismo è l'economia disciplinata, e quindi anche controllata, perché non si può pensare a una disciplina che non abbia un controllo. Il corporativismo supera il socialismo e supera il liberismo; crea una nuova sintesi". Nella dialettica di Hegel lo stato rappresenta il momento culminante dell'eticità (ovvero la sintesi dello spirito oggettivo) ossia la ri-affermazione dell'unità della famiglia(tesi) al di là della dispersione della società civile(antitesi). Lo stato quindi è una sorta di grande famiglia che sta alla società civile come "l' universale"(ricerca del bene comune) e sta al particolare (ricerca del bene individuale). Di conseguenza lo stato non abolisce la società civile, ma si sforza ad indirizzare tutti i vari interessi particolari verso un bene collettivo. Se la famiglia è poi un'entità organica, anche lo stato deve essere un'entità organica. Nello stato, di conseguenza, si ha la congiunzione dell'organicità con la consapevolezza dell'individuo di essere parte del tutto. Così l'individuo non vive contrapposto agli altri, come nel "sistema atomistico" della società civile, ma si muove come parte unitaria di un intero corpo. Hegel inoltre vede nello stato l'incarnazione suprema della moralità sociale e del bene comune (stato etico). Sempre secondo il filosofo la sovranità dello stato deriva dallo stato medesimo in quanto lo stato non è fondato sugli individui ma è fondato sull'idea di stato. In quest'ottica organicistica dello stato, è quindi evidente la una netta avversione a tutti i sistemi contrattualistici teorizzati in precedenza, come lo stato liberale e il sistema democratico Rousseauiano, e a tutti i conseguenti diritti giusnaturalistici. E' facile notare quindi come le caratteristiche dello stato corporativo siano pressoché identiche alle caratteristiche dello stato ideato da Hegel.

Comunque durante il ventennio, a causa dei motivi che abbiamo ripetutamente espresso prima (l'ostracismo della Monarchia, Chiesa e Grande industria), nessuna di queste teorie venne veramente messa in pratica. Tuttavia attraverso una serie di leggi si cercò di avvicinarsi il più possibile, ma sempre invano. Nel 1926 venne istituito il tribunale del lavoro con il compito di regolare i rapporti tra padroni e lavoratori. Nello stesso anno fu creato il ministero delle Corporazioni, e nel 1930 il Consiglio nazionale delle corporazioni, ma le corporazioni furono istituite solo nel 1934 e nonostante avessero competenze sul controllo e sulla regolamentazione dei salari e sull'intera economia nazionale, non realizzarono affatto la collaborazione paritaria fra lavoratori e datori di lavoro, come era negli intenti, e tanto meno diedero vita a una 'nuova economia'. Al contrario aumentarono le differenze tra lavoratori e padroni a svantaggio delle prime, non essendo stato controbilanciato con un maggiore controllo sulle confederazioni padronali, il severo controllo del lavoro. Nel 1939 venne istituita la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, che sostituiva la camera dei deputati. Essa avrebbe potuto diventare veramente l'unica via per mettere veramente in atto la dottrina corporativa, ma a causa dello scoppio della guerra e il suo conseguente mal-andamento, ebbe una sola seduta e un ruolo del tutto marginale. Nonostante tutto, il fascismo riuscì comunque ad introdurre delle misure, ben lontane però dall'idea iniziale, per compensare in qualche modo i poteri dati ai datori di lavoro. Queste misure sono quelle compongono l'imponente legislazione sociale del fascismo di cui ricordiamo per completezza, solo alcuni dei provvedimenti più importanti, (alcuni sono presenti ancora oggi):

  • Tutela lavoro donne e fanciulli - (R.D. 653/1923);
  • Maternità e infanzia - (R.D. 2277/1923);
  • Assistenza ospedaliera per i poveri - (R.D. 2841/1923);
  • Assicurazione contro la disoccupazione - (R.D. 3158/1923);
  • Assicurazione invalidità e vecchiaia - (R.D. 3184/1923);
  • Riforma "Gentile" della scuola - (R.D. 2123/1923);
  • Assistenza illegittimi e abbandonati - (R.D. 798/1927);
  • Assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi - (R.D. 2055/1927);
  • Esenzioni tributarie famiglie numerose - (R.D. 312/1928);
  • Assicurazione obbligatoria contro malattie professionali - (R.D. 928/1929);
  • Opera nazionale orfani di guerra - (R.D. 1397/1929);
  • Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro I.N.A.I.L. - (R.D. 264/1933);
  • Istituzione libretto di lavoro - (R.D. 112/1935);
  • Istituto nazionale per la previdenza sociale I.N.P.S. - (R.D. 1827/1935);
  • Riduzione settimana lavorativa a 40 ore - (R.D. 1768/1937);
  • Ente comunale di assistenza E.C.A. - (R.D. 847/1937);
  • Assegni familiari - (R.D. 1048/1937);
  • Casse rurali ed artigiane - (R.D. 1706/1937);
  • Tessera sanitaria per addetti servizi domestici - (R.D. 1239 23/06/1939);
  • Istituto nazionale per le assicurazioni contro le malattie I.N.A.M. - (R.D. 318/1943).

Tuttavia, durante il ventennio, non furono tanto le grandi confederazioni padronali (a cui il fascismo, per il consenso, lasciò l'autonomia di cui godevano nel periodo liberale) ad avere i maggiori vantaggi. Lo strato sociale che ebbe veramente un aumento dei vantaggi sociali, fu la terza classe, ovvero la classe che componeva una fetta molto numerosa della società (secondo alcuni, più consistente dello stesso proletariato). Questa classe, vera destinataria del sistema corporativo e molto variegata per condizioni, collocazione sociale, interessi e cultura era composta da piccoli imprenditori, artigiani, liberi professionisti, ma soprattutto composta da dipendenti pubblici che furono considerati dal governo la classe più vicina al regime stesso e quindi la prima sostenitrice. In effetti, questa classe media, fu quella che appoggiò il fascismo già dal 1919 e lo sostenne relativamente anche durante il periodo della RSI.

Dopo la sconfitta, nella primavera del'45, la componente fascio-repubblicana venne scientificamente decapitata dagli oppositori, privata della guida di Mussolini e di tutti gli altri che avrebbero potuto continuare l'azione. Di conseguenza gli ideali del cosiddetto "socialismo mussoliniano", ovvero il corporativismo, sopravvivono essenzialmente nel patrimonio dei singoli, in attesa che un nuovo clima politico ne favorisca la sua riproposizione, dove future generazioni ispirandosi ai vecchi ideali mussoliniani e all'ultima esperienza della RSI ricostruiranno un nuovo ordine basato su una vera libertà e su di una più elevata giustizia sociale.

Antonio Manfredi

Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia