L'Italia ancora fra gli amici Atlantici?

17.04.2018

Lungi da noi difendere il regime illiberale, violento e autocratico del Presidente siriano Bashar Al Assad. Lungi da noi non tenere conto delle norme, codificate nella Convenzione di Parigi, che vietano l'utilizzo delle armi chimiche a tutela della sicurezza della comunità internazionale. È impensabile accusare a prescindere l'Occidente, la globalizzazione, il mondo libero e Israele, sbraitando come fanno gli estremisti di sinistra, contro un'azione che parrebbe circoscritta a una prova di forza, dal momento che la Russia è stata avvisata riguardo alla localizzazione degli obiettivi missilistici e morti non ce ne sono stati. L'Italia non può allontanarsi dalle alleanze atlantiche e occidentali per il semplice fatto che siamo un Paese fondato sulla libertà individuale, sulla democrazia e sullo stato di diritto.

Tuttavia per la nostra storia, la nostra posizione geografica, i nostri interessi, non possiamo nemmeno aderire tout court a linee di politica internazionale che non rispecchino le nostre capacità e il nostro ruolo nello scacchiere internazionale e in particolare nell'area MENA (Middle East and North Africa).

Dalla Presidenza Gronchi e dai Governi Moro, Andreotti, Craxi, Dini, D'Alema, Prodi, Berlusconi, è sempre stata considerata alla base della politica estera italiana la cosiddetta "Politica del ponte". Andando oltre gli schieramenti democristiani e socialisti, di centrodestra e di centrosinistra, siamo sempre stati consapevoli che l'Italia ha gli interessi e le capacità per esercitare un ruolo di mediazione e di interlocutore credibile tra Stati Uniti, Europa e Paesi che si affacciano (direttamente o indirettamente) sul Mediterraneo. In particolare con la linea di moderazione del conflitto tra Israele e Palestina del Ministro degli Esteri Martino, o con la politica di mediazione di Aldo Moro sul caso Helat del 1967 che diede inizio alle solide relazioni tra Italia, Europa e Libia. Fino ad arrivare al 2002, quando i leader dei Paesi della NATO, riuniti presso la base militare di Pratica di Mare, firmarono la Dichiarazione di Roma con la quale si apriva il partenariato con la Russia nella lotta al terrorismo. Con gli Accordi di Pratica di Mare il Governo italiano si fece mediatore tra l'Alleanza Atlantica e la Russia di Putin, scongelando per la prima volta i rapporti dopo la caduta del Muro. Furono la conferma dell'unitarietà dell'Europa nella libertà e nella pace, dando il via a più strette relazioni diplomatiche e militari tra Occidente e Russia verso la non proliferazione e la risoluzione dei conflitti, come disse l'allora Presidente francese Chirac.

Per questi motivi, assistere inermi alla conduzione del raid missilistico la mattina del 14 aprile, 4.30 ora di Damasco, da parte di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna che hanno colpito un centro di ricerca scientifica a Damasco, in cui ritengono vengano prodotte armi chimiche e biologiche, due depositi di armi chimiche e un centro di comando siriano a ovest della città di Homs, dovrebbe farci cambiare posizione. Negare l'accesso alla base di Sigonella come supporto a tale azione militare, per quanto circoscritta possa essere, non è sufficiente. Non basta rimanere fermi a guardare mentre una prova di forza portata avanti in modo unilaterale da tre dei cinque membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, rischia di ricreare lo scenario scatenato in Iraq nel 2003 dagli stessi Paesi che, senza avere prove fattuali dell'esistenza di arsenali chimici e biologici, hanno attaccato unilateralmente un governo autocratico e violento.

Andrebbe considerato il ruolo che la Russia ha avuto nella lotta al terrorismo islamico di Daesh, di tutti i rami e le correnti terroristiche siriane e turche che minacciano l'Occidente, così come i tentativi di espansionismo imperialistico verso il Mediterraneo attraverso il controllo di Tartus, volto ad aumentare le influenze di Putin su zone vacillanti. Ma andrebbe anche considerato che dalla parte degli insorti ci sono la Turchia e i maggiori Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar. Questi hanno ben poco in comune con l'Europa e l'Occidente, ma vengono ancora oggi considerati credibili, tanto da non preoccuparsi che un'eventuale Turchia in Unione Europea sarebbe il primo paese a totalità musulmana all'interno dell'Unione, e secondo dopo la Germania per numero di seggi al Parlamento di Strasburgo.

Tra leader che si dichiarano a prescindere filo-russi e leader che si dicono assolutamente filo-atlantici per incompetenza, ignoranza e paura di sbagliare (per non usare terminologie più terra-terra), di fronte alla realtà che vede la Siria, dopo oltre sette anni di conflitti, contare oggi 470mila vittime, l'85% della popolazione in stato di povertà, 6,3 milioni di sfollati e 4,9 milioni di rifugiati, l'Italia dovrebbe prendere la parola e farsi mediatore come avvenne nel 2002. Una posizione netta eviterebbe di dare possibilità a certi autocrati islamofili di attaccare, un giorno non lontano, il vicino Israele, alleato sicuro dell'Occidente e troppo spesso maltrattato.

Matteo Sgubbi

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